Intervista ad Attilio Casella, partner e direttore della divisione Technology & Innovation di Phloema. «L’RFID è una sorta di DNA unico non replicabile, ma c’è oggi un lavoro consulenziale applicato al dato»
Giampaolo Colletti
@gpcolletti
I dati ci aiutano a lavorare meglio. Di più. Ci consentono di industrializzare i processi, di scalare i mercati, di evitare errori o comunque di ridurli considerevolmente. I dati – e più in generale le tecnologie di monitoraggio e controllo – diventano alleati del lavoro fatto bene. Ne è convinto Attilio Casella, 58enne milanese, una laurea in ingegneria nell’87, poi un percorso che l’ha portato nelle industrie produttive e metalmeccaniche di svariate aziende, dalla sanità ai carrelli elevatori. Tutto nel segno della gestione dei processi. «La tecnologia RFID è un’eccellenza e nasce come riconoscimento e identificazione alternativa al codice a barre. D’altronde il codice lo devo leggere con una pistola laser, mentre l’RFID è invisibile, ma c’è. La peculiarità e che dentro questa etichetta c’è un microchip con una sua memoria che lo rende potentissimo dal punto di vista della tracciabilità. In fondo posso metterci un codice unico al mondo», afferma Casella, che in Phloema è partner e direttore della divisione Technology & innovations. «Noi abbiamo due filoni: c’è una parte tecnologica e logistica e c’è un’altra parte legata alla business intelligence e all’analisi dei dati», ricorda Casella. Di fatto questo ingegnere meccanico con il suo lavoro permette alle aziende di scalare i processi e di migliorare i controlli qualità e le performance. «Entriamo in aziende che hanno processi manuali o che stanno vivendo transizioni e implementiamo la tecnologia, proponendo soluzioni di automatizzazione con RFID o con altro. Di fatto comprendiamo il contributo dell’uomo e quello che si può automatizzare nel modo di avanzamento del processo produttivo e lo integriamo, lavorando con quelle che sono le macchine esistenti in azienda e soprattutto coi processi. È un tema di classificazione, registrazione», dice Casella. Per spiegare questa tecnologia andiamo sulle piste innevate. Nel 2008 Casella con la squadra di Phloema ha lavorato per un noleggio di sci di Courmayeur. La semplificazione e l’accelerazione del noleggio, oltre all’efficacia del monitoraggio, passava dalla tecnologia RFID della quale erano dotati gli sci. «Il concetto è quello del varco: quando passi leggo cosa hai addosso e che è associato al tesserino. Poi nel maggio 2008, quando c’è stato il rilascio delle frequenze, abbiamo cominciato a lavorare sulla logistica e ancora nel 2009 abbiamo iniziato a seguire il brand Maliparmi», ricorda Casella.
Tutto parte dall’analisi?
Sì. E l’operazione quindi può restare manuale, ma il contributo digitale e di automatizzazione evita errori. RFID è uno dei punti di partenza dell’IoT, ossia dell’Internet of Things che prevede che gli oggetti siano connessi a qualcosa e con un bagaglio di informazioni.
In fondo l’RFID è un tag?
Tutta l’identificazione si può fare con l’etichetta RFID: noi battezziamo gli oggetti, che siano telai o sci o abiti o galvanica, predisponiamo i sistemi di rilevazione degli oggetti stessi e gestiamo le informazioni raccolte. Peraltro è ad errore zero perché quando metto un’etichetta RFID di fatto inserisco un codice univoco che ce l’ha solo quella maglietta o quell’oggetto. Una sorta di DNA unico non replicabile. Quindi semmai l’errore lo commetti all’inizio, non nel processo.
Sono operazioni scalabili?
Certamente. Tutto questo implica la gestione di volumi importanti per ottimizzare l’inventario.
Ciò che si fa è un upgrade. Questa è la chiave di volta della trasformazione digitale: si genera un sistema che produce dati automatizzando la logistica. Con questi elementi si crea valore aggiunto.
Dall’RFID si passa a progetti anche più evoluti?
Con la business intelligence, che abbiamo avviato in Phloema, si va oltre. Cioè si traduce il valore degli oggetti. Oltre alla conta si fa un lavoro di ottimizzazione: è un servizio consulenziale applicato al dato. È la lettura evoluta del dato. Questo è quello che stiamo costruendo.
Un progetto che passa dal gioco di squadra…
Prima facevo solo tecnologie, poi quando ho incontrato i miei soci impegnati nella consulenza manageriale abbiamo fatto un passo avanti. Oggi il valore è enormemente più vasto. Vogliamo far capire al cliente che quando si fa un investimento sui sistemi di tracciabilità si accetta anche un percorso verso il valore aggiunto.
Dal dato al suo valore?
Il dato senza analisi resta poco rilevante. Così con noi si dà un valore in più al dato stesso. Ma attenzione: i chip costano sempre meno e ce ne sono moltissimo in commercio. Quello che conta è il loro trattamento. Poche settimane fa abbiamo depositato un brevetto che comprende l’RFID, ma che è autenticazione del carico di un camion. In fondo permette di far registrare specifici bancali dalla posizione sul camion, associandoli alle cinghie fissate per il carico e lo scarico. Ecco, dal dato si passa a quel qualcosa in più che fa la differenza.